Da un anno a questa parte l’Istituto Svizzero di Roma definisce il suo programma artistico con l’obiettivo di verificare le potenzialità e il ruolo dell’arte oggi. Questo significa proporre pratiche in grado di influenzare la realtà, problematizzare le identità e i rapporti in modo da comporre nuovi modelli e nuove istituzioni.
Modificare le consuetudini, attingere da diversi ambiti culturali, rompere con la socialità definita sono i presupposti con cui si è composto il programma musicale di Syncope. In musica la sincope è una denominazione attribuita a un ritmo particolare prodotto dallo spostamento dell’accento ritmico della battuta; nella letteratura è una figura retorica che dà luogo a forme poetiche mentre in medicina un’improvvisa perdita di coscienza con perdita della postura.
Questa sospensione è stata interpretata come il modello con il quale mettere in questione il nostro modo di comprendere lo spazio e il tempo attraverso la percezione e l’ascolto. Così si sono voluti esautorare i modelli tradizionali della produzione e della fruizione musicale per ripensare, in questo vuoto transitorio, la realtà, i processi cognitivi e istitutivi con cui la decifriamo e la rappresentiamo.
Attraverso un processo osmotico, in cui linguaggi colti si mescolano ai cosiddetti linguaggi incolti, quelli formali a quelli informali, si è voluto arrivare a un ambito comune e a una nuova socialità capace di far incontrare esigenze culturali e pubblici diversi.
L’intento non è far convergere le diversità su un piano generico e generalizzato ma preservare le differenze, accentuare e mettere semmai in questione attraverso delle forzature che tengano conto dell’impulso alla dismisura che conserva in sé l’arte.
Per questo motivo abbiamo messo in crisi i generi e i codici linguistici, abbiamo forzato le dinamiche dell’esecuzione e dell’ascolto, riconfigurando i luoghi e i tempi tradizionali della produzione e della fruizione musicale. Per questa ragione abbiamo proposto, ripartendo dalla storia, alcune esperienze artistiche contemporanee che hanno rotto il cerchio dell’armonia e della tradizione per arrivare ai suoni più concreti della realtà.
Dal comunicato stampa:
“Il programma si apre con TAM TUUMB! Cento anni di Arte dei Rumori, a cura di Francesco de Figueiredo e Valerio Mattioli, con performer internazionali come Cut Hands, Aaron Dilloway, Skullflower, Andy Guhl, Teho Teardo, Dave Phillips, Antoine Chessex, Die Schachtel. Ripartendo dai punti del manifesto di Russolo del 1913, TAM TUUMB! individua gli eredi contemporanei che meglio li hanno interpretati, giungendo a soluzioni spiazzanti ed esiti che esulano dal semplice rumorismo, per riprendere lo spirito autentico del futurista italiano: quello cioè di “arricchire gli uomini di una nuova voluttà insospettata”. In particolare dall’inizio degli anni 2000 in poi, i circuiti più eretici delle musiche underground hanno visto un autentico rinascimento noise, il cui impatto resta senza precedenti negli equilibri delle nuove “sonorità extracolte”, siano esse di matrice elettronica, rock, o genericamente sperimentale. TAM TUUMB! è l’occasione per fare il punto su un fenomeno vivace e dalle ricadute imprevedibili sulle vicende musicali del nuovo millennio, e insieme omaggiare uno dei più rivoluzionari, visionari e lungimiranti padrini dell’avanguardia italiana, tanto rispettato all’estero, quanto curiosamente ancora poco riconosciuto in patria.
Noir, a cura di Denis Schuler, un concerto al buio totale in cui i musicisti dell’ Ensemble Vide non sono visibili al pubblico. Durante l’esecuzione, senza tralasciare alcun angolo e interstizio, un “mondo sonoro” riempie il vuoto delicatamente fino a rendere globale la percezione della musica intesa anche come ascolto di respiri e silenzi. L’esperienza musicale così concepita elimina la vista per concentrarsi sulla sperimentazione dello spazio attraverso il suono anche grazie all’allestimento della sala ideato dagli architetti Susann Vécsey e Christoph Schmidt, membri dell’ISR 2012/2013. La ricerca di Denis Schuler, tra i fondatori dell’Ensemble Vide, sulle potenzialità creative dell’assenza – del suono, della luce e dei sensi – si sviluppa in altri tre appuntamenti successivi che da Villa Maraini si propagano in altri luoghi della città: Extension, che attraverso il Quartetto No.2 (1983) del compositore minimalista americano Morton Feldman indaga l’esperienza dilatata di musicisti e pubblico in un concerto della durata di cinque ore, con il Black Mountain String Quartet; La Piazza, che vede una vera a propria installazione di musicisti dislocati all’interno del microcosmo di una piazza del quartiere di San Lorenzo: vari gruppi, che suonano un repertorio mescolando le classificazioni usuali, costituiscono una presenza allo stesso tempo plastica e sonora tesa a divenire “rivelatrice di situazioni”; infine Missing Objects, immaginato con l’Ensemble Vide e dedicato alla ricerca del vuoto come possibilità di far apparire altro. Un’occasione inedita per scoprire il sotterraneo del Chiostro del Bramante come luogo invisibile che invita a riflettere in negativo per immaginare uno spazio pubblico di condivisione senza muri.”